Roberto Andò e Toni Servillo raccontano la storia vera di "L'abbaglio"

2025-01-17 16,358

Una piccola storia dimenticata dentro la grande Storia. L'abbaglio, il nuovo film nei cinema di Roberto Andò (Il manoscritto del principe, Viva la libertà, La stranezza), riprende un racconto di Leonardo Sciascia del 1963 sulla "colonna Orsini”, il nome del generale interpretato da Toni Servillo. Una storia semi sconosciuta... «Una vicenda storica reale, debitamente rielaborata dalla fantasia. Al centro il generale Vincenzo Giordano Orsini, garibaldino che, dopo lo sbarco, organizzò la finta marcia su Corleone. I borbonici lo scambiarono per Garibaldi: e... Rimasta a lungo nell’ombra, Per il suo nuovo film, Andò (che firma anche la sceneggiatura, con Massimo Gaudioso) torna a dirigere Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone. Si riforma quindi il team di La stranezza, ma con, al posto del "fantasma" di Luigi Pirandello, Giuseppe Garibaldi e il suo sbarco in Sicilia. Siamo nel 1860, Garibaldi (Tommaso Ragno) raduna giovani idealisti e patrioti per la sua spedizione. Sbarcati, e nonostante i primi successi, si rende conto della potenza superiore delle truppe borboniche. Ma grazie a uno stratagemma, messo in atto dal colonnello Vincenzo Giordano Orsini (Toni Servillo), i garibaldini riescono a conquistare Palermo. Nonostante, o grazie, anche a due buffi disertori: i siciliani Domenico Tricò (Salvo Ficarra) e Rosario Spitale (Valentino Picone).
Dice il regista palermitano: «Garibaldi si trovò circondato da ventenni, che venivano da tutta la penisola, dalla Toscana a Bergamo, per mettere insieme l'Italia. Ed erano persone che facevano i musicisti, facevano gli artisti, bohémien. Oggi il mettere in campo in maniera così spassionata il proprio credo ideologico non c'è più. Credo che fare un film del genere abbia un senso, un po' come si facevano nel neorealismo, che si trattava di rimettere insieme un sentimento nazionale. Il cinema io credo che lo possa fare». Secondo il protagonista Toni Servillo, «L'abbaglio ha come obiettivo soprattutto quello di porre interrogativi, quindi non raccontare la storia con la grancassa del trionfalismo, del come eravamo, ma di far risuonare potentemente delle domande che ci riguardano ancora molto oggi».