Ha scelto il salotto di Fabio Fazio a Che tempo che fa per parlare dell'inferno vissuto a Teheran. Cecilia Sala ha condiviso per la prima volta in televisione il racconto della sua prigionia nel carcere di Evin, in Iran. La giornalista, arrestata il 19 dicembre e liberata dopo 21 giorni, ha descritto i momenti più difficili vissuti durante la detenzione, dagli interrogatori estenuanti all'isolamento psicologico. «Non mi hanno mai toccata, ma è stato un gioco psicologico pesante» ha rivelato Sala.
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Cecilia Sala, gli interrogatori interminabili e il peso dell'isolamento
Cecilia Sala ha spiegato come gli interrogatori fossero condotti in condizioni che esasperavano il senso di impotenza: «Ero incappucciata, faccia al muro. Mi interrogava sempre la stessa persona che parlava un perfetto inglese e dalle domande capivo che conosceva bene l’Italia». L’ultimo interrogatorio, il giorno prima della liberazione, è stato particolarmente lungo: «È durato dieci ore, con brevi pause. A un certo punto sono crollata e mi hanno dato una pasticca per calmarmi. L’ho presa perché ne avevo bisogno».
Nonostante la pressione psicologica, la giornalista ha sottolineato che i suoi carcerieri non l’hanno mai sfiorata fisicamente, in rispetto delle rigide regole del regime: «Venivo spostata con un bastone che tenevo a un’estremità, perché maschi e femmine non si possono nemmeno sfiorare».
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Una cella minuscola come unico orizzonte
Le condizioni di isolamento erano studiate per abbattere la resistenza mentale: «Non è soltanto essere in una cella da sola, ma non avere nessuna distrazione. Quando è arrivato un libro, Kafka on the Shore di Murakami, e le lenti a contatto, ho pensato “va bene, posso stare qui altri due anni tranquillamente”». Tuttavia, prima di ricevere quelle piccole concessioni, le giornate si consumavano in un vuoto totale: «Passavo il tempo a contarmi le dita e a leggere gli ingredienti sulla busta del pane. Non c’era altro».
Il rumore dall’esterno era spesso un ulteriore motivo di angoscia. Cecilia Sala ha raccontato che dal corridoio arrivavano suoni strazianti: «C’era una ragazza che prendeva la rincorsa per sbattere la testa contro la porta blindata. Sentivo pianti, vomito e tentativi di farsi del male».
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La consapevolezza di essere un ostaggio
La giornalista ha compreso la gravità della sua situazione quando, durante un interrogatorio, le è stata comunicata una notizia dall’esterno: «Mi hanno detto che era morto Jimmy Carter. Ho capito che il messaggio era: “Sei un ostaggio”. Carter è il presidente associato alla crisi degli ostaggi del 1979».
Questa consapevolezza ha aggiunto ulteriore pressione alla prigionia. «Ero sicura di stare dentro molto di più, perché tutti gli altri sono stati dentro molto di più. Avevo paura per i miei nervi se fossi rimasta in isolamento».
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La liberazione di Cecilia Sala e il sollievo inaspettato
Il momento della liberazione, l’8 gennaio, è stato vissuto con incredulità: «Quando mi hanno detto che mi avrebbero liberata non ci credevo. Pensavo volessero portarmi da un’altra parte». La certezza è arrivata solo quando, all’aeroporto militare, ha visto un volto familiare: «Ho fatto il sorriso più bello della mia vita».
Sala ha riconosciuto il ruolo fondamentale della diplomazia, ma ha escluso l’intervento diretto di Elon Musk, nonostante le speculazioni. «Nessuno della mia famiglia ha parlato con lui. Il mio compagno ha contattato il suo referente in Italia, ma l’unica risposta che ha avuto è stata “è informato”».
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Nonostante la fine dell’incubo, Sala non dimentica chi ancora vive quella realtà: «Ci sono tantissime donne iraniane che sono ancora in queste condizioni e incredibilmente tengono il controllo dei nervi». E alla domanda di Fazio se pensa di tornare in Iran, la giornalista è categorica: «Finché c'è la Repubblica Islamica no».
(immagini www.discoveryplus.it)