Cosa ci fa il regista del minimal-super indie Moonlight (3 Oscar 2017, tra cui quello al Miglior film) e dell'impegnato e antirazzista Se la strada potesse parlare nell'universo Disney? Lui è Barry Jenkins: afro-americano, cresciuto nel quartiere di Miami dove aveva vissuto Muhammad Ali, nume tutelare del nuovo cinema indipendente americano. Adesso regista di Mufasa: Il re leone, film Disney di Natale, nei cinema dal 19 dicembre... «La prima volta che ho visto il film originale facevo da babysitter ai miei due nipoti. Ricordo che il VHS del Re leone era quella che guardavano più spesso. L'avrò visto centinaia di volte con loro e ho capito che stavano elaborando per la prima volta emozioni molto, molto complesse. Come il perdere un genitore... Piangevano, ma in pochi secondi erano lì a cantare e ridere. Ho pensato che fosse un trucco di magia molto potente, e molto commovente.
Mia madre è morta mentre stavo facendo il film e non mi sono reso conto come il realizzarlo mi aveva preparato al trauma... Io non ho figli, ma volevo fare un film che i genitori potessero andare a vedere con i loro bambini. Il mondo è cambiato, è più complesso e i ragazzini sono pronti ad affrontarla, questa complessità. Quindi noi non dobbiamo edulcorarla. Per me Mufasa è come un figlio adottato che cerca di raggiungere la leadership che gli è preclusa. Io vengo dal mondo di Moonlight: luoghi molto duri e difficili, per cui se vieni da lì non pensi di poter diventare re. Ma Mufasa ci dice che non è impossibile. Un po' come quando riprendo in mano le foto di me da bambino: impossibile immaginare che quel ragazzino avrebbe mai fatto un film tipo Il re leone, eppure è accaduto. Ecco: anche io devo ricordare a me stesso che nulla è impossibile».