Roma, 9 set. (askanews) - Le democrazie devono restare fedeli ai loro valori, e Putin deve perdere la guerra e la faccia in Ucraina. A dirlo è il dissidente russo Vladimir Kara-Murza, uno degli oppositori più di spicco del regime di Putin dopo la morte di Aleksei Navalny, liberato insieme ad altre 23 persone il primo agosto in uno storico scambio di prigionieri fra Stati Uniti e Russia avvenuto ad Ankara.Kara-Murza, che ha subito due sospetti tentativi di avvelenamento in Russia, è stato uno stretto collaboratore di un altro noto oppositore di Putin, Boris Nemtsov, assassinato nel centro di Mosca nel 2015. Il giornalista, 43 anni e padre di tre figli, era stato arrestato nell'aprile del 2022, inizialmente con l'accusa di aver diffuso informazioni false sulla guerra in Ucraina, fatto a sua volta punibile sulla base di leggi adottate ad hoc dopo l'inizio dell'invasione. Nell'aprile del 2023 era stato condannato a 25 anni di carcere per "alto tradimento" e diffusione di informazioni false sull'esercito russo, da scontare in una colonia penale con regime di rigore."No, non abbiamo certo bisogno di più realpolitik - ha detto Kara-Murza in un'intervista esclusiva con Afp a Parigi - è una cosa di cui non abbiamo assolutamente bisogno. Penso che sia molto importante che le democrazie del mondo si attengano ai loro valori, ai loro principi, e che mettano in pratica i principi su cui si fondano. E se parliamo di questa situazione specifica, è molto importante che a Vladimir Putin non sia permesso di vincere la guerra contro l'Ucraina. Anzi, dirò di più: è molto importante che a Vladimir Putin non sia permesso di salvare la faccia nella guerra in Ucraina. Il regime di Putin deve essere sconfitto in questa guerra di aggressione che ha lanciato contro l'Ucraina. Questo è assolutamente chiaro".Dopo la morte in carcere di Aleksei Navalny, storico oppositore di Putin a sua volta perseguitato per anni fino alle estreme conseguenze, Kara-Murza aveva lanciato un coraggioso appello a tutti gli oppositori di Putin lo scorso febbraio durante un'udienza-farsa in tribunale a Mosca per uno dei suoi avvelenamenti.