Demagonia, o meglio, dove porta la politica delle illusioni. Oggi allo stand del Corriere Torino si è tenuto l'incontro con il senatore a vita Mario Monti, che ha presentato il suo ultimo libro, Demagonia per l'appunto, pubblicato da Solferino. Se in Italia, come in vari Paesi europei e negli Stati Uniti, la democrazia di stampo liberal-democratico pare entrata in una fase di crisi profonda, l'ex presidente del Consiglio prova a fornire la sua via d'uscita. «Il libro non vuole essere un allarme ma invita a prendere consapevolezza - sottolinea - i nostri politici mi sembra più attenti alle polemiche interne piuttosto che alle sfide che minacciano l'Europa. Serve il coraggio di fare scelte impopolari - ha aggiunto - piuttosto che promettere meno tasse per poi non mantenere la parola, offrendo piuttosto condoni». La politica sembra, in sostanza, inseguire il consenso immediato e facile, accantonando i problemi e rinviando le scelte impegnative. La demagonia, però, non è irreversibile. Per arginarla e respingerla occorre una politica seria, fatta da uomini responsabili, disposti anche a perdere le elezioni. «Invece oggi si pensa a comprare i voti con i fondi dello Stato, aumentando le tasse di alcuni o il debito pubblico». Il senatore invoca anche«cittadini-elettori più consapevoli ed esigenti, una condizione essenziale per la sopravvivenza dell’Europa e dell’Italia». E poi un commento sul progetto del ponte: «Io dissi di no alle Olimpiadi, rinunciando al consenso popolare, l'infrastruttura su cui punta Salvini, uomo forte più che riflessivo, non mi sembra indispensabile e non si poggia un dossier completo». E poi una battuta sulle università: "«Non devono schierarsi politicamente, ma offrire agli studenti gli strumenti per avere uno spirito critico». Infine un commento sulla situazione in Medio Oriente: «L'atteggiamento europeo verso la Palestina può sicuramente migliorare, io stesso dovetti votare per l'Italia sulla questione e mi schierai per un impegno maggiore. Israele non la prese bene e chiamai il primo ministro di allora, Netanyahu, che mi chiuse il telefono in faccia».