(Adnkronos) - Secondo le stime prodotte dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc), tra il 2020 e il 2040 le nuove diagnosi oncologiche maschili aumenteranno in media dell’1,3% all’anno. Con riferimento alla popolazione generale, i tumori più frequenti risultano essere il tumore della mammella nelle donne (+ 0,2% per anno), il tumore del polmone in entrambi i sessi (+1,3% per anno) e il tumore della prostata negli uomini (+1,0% per anno). In effetti, nella popolazione maschile dei paesi occidentali, il carcinoma prostatico è divenuto, nell’ultimo decennio, il tumore più frequente. In Italia, secondo dati forniti dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), nel 2022 sono state formulate 40.500 nuove diagnosi di neoplasie prostatiche che, sempre nel nostro Paese, rappresentano circa il 20% di tutti i tumori maschili. E' dedicata al cancro alla prostata e biomi l’odierna puntata della rubrica 'Fermenti, il segreto della vita', curata dall’immunologo Mauro Minelli della Fondazione per la Medicina Personalizzata e condivisa da Adnkronos Salute. "In realtà, questo trend incrementale sembra essere soprattutto correlato alle migliorate possibilità di formulare una diagnosi corretta di tale patologia grazie alle attività di screening che, dal dosaggio del Psa all’esame ecografico con eventuale biopsia ecoguidata, sono state via via messe a punto - spiega Minelli - Sta di fatto, tuttavia, che diversi sono i fattori di rischio che possono contribuire all’insorgenza di un cancro prostatico, dall’obesità al fumo, all’abuso di alcolici, ad un’irregolare attività sessuale e/o scarsa attività fisica e fino all’intervento, come sempre tutt’altro che marginale, del microbiota. O forse, meglio, dei microbioti: quello intestinale e urinario, ma anche quello cutaneo e orale. E’ così che si è giunti ad individuare una correlazione tra batteri rilevati nella bocca di soggetti con parodontite e iperplasia gengivale e batteri presenti nel fluido prostatico di pazienti con carcinoma prostatico. Analoghe corrispondenze sono state osservate con un batterio tipico della pelle ma rinvenuto nel tessuto di ghiandole prostatiche chirurgicamente asportate perché colpite da tumore". "Poi, oltre a quello orale e cutaneo, c’è anche il microbiota intestinale che, se alterato, può contribuire alla genesi di un carcinoma prostatico sia in forza delle sue capacità di interferire sull’assetto metabolico - e quindi infiammatorio - del paziente interessato, sia perché in grado di modulare l’assetto endocrino soprattutto riferito alla disponibilità di estrogeni e androgeni. Né può mancare il contributo del microbiota urogenitale, soprattutto se una sua eventuale disbiosi dovesse generare ricorrenti stati infettivi ed infiammatori di quell’apparato", prosegue l'immunologo.