Roma, 21 set. (askanews) - Pupi Avati con "Dante", nelle sale dal 29 settembre, porta al cinema la vita, le emozioni, le sofferenze di un uomo, dall'infanzia alla morte in esilio, e in questo modo avvicina lo spettatore al "sommo poeta". Un film, che ha per protagonista Alessandro Sperduti, che "umanizza" l'autore della Divina Commedia, cosa che spesso la scuola non è in grado di fare."Dante era un personaggio ineffabile, seduto su una sorta di piedistallo altissimo, irraggiungibile, di cui dovevamo imparare queste storie a memoria, senza capire perché, senza capire che senso potessero avere e senza raccontarci, soprattutto, chi era l'essere umano. Sono 25 anni che mi occupo di Dante, ho letto credo tutto il pubblicabile o il pubblicato, e non ho trovato mai Dante umano, l'essere umano, non l'ho trovato mai. Soprattutto non ho trovato mai quel Dante ragazzo, che è fondamentale in ognuno di noi. Lei vede in me un uomo di 83 anni, tuttavia dentro di me io sono ancora un quattordicenne, un quindicenne, un sedicenne, perché l'immaginazione resta giovane, l'immaginazione non invecchia".In "Dante" Avati segue Giovanni Boccaccio, interpretato da Sergio Castellitto, nel suo viaggio per portare il risarcimento simbolico della città di Firenze alla figlia del poeta, morto in povertà dopo un lungo esilio. Quello che racconta il regista è un uomo profondamente calato nella realtà, che viene espulso con violenza dal potere. Ci sono varie forme, vari modi per essere esiliato. Io so che in 54 anni di cinema, sempre molto alternativo a quella che era la regola del sistema di quell'anno, cosa bisognava fare quell'anno, in quel momento, essendo sempre totalmente anacronistici e andando orgogliosi dell'esserlo, è evidente che abbiamo pagato e paghiamo tutt'ora un prezzo. Tuttavia questo film è la somma di tutto il mio cinema".