Modena, 8 set. (askanews) - Gli scultori della velocità meriterebbero un museo, per ora si accontentano di una chiesa sconsacrata. È una mostra sorprendente quella allestita nell'ex chiesa di San Carlo a Modena. Nel cuore della Motor Valley sono esposte le carrozzerie più prestigiose dell'era d'oro della terra dei motori, vale a dire la Ferrari Testarossa, la mitica Gto, le Ferrari P4 che vinsero in parata la 24 Ore a Daytona. Tutte ricostruite dai maestri carrozzieri di Modena con gli stessi strumenti - martello, sacco di sabbia, saldatrice e cesoia - che si usavano in quel periodo e che diedero vita ai modelli che continuano a far sognare tutto il mondo. Uno di loro è Afro Gibellini."Alla Scaglietti c'erano degli operai, uno più bravo dell'altro. Allora, quando ci sono dei bravi operai si fa della bella roba, infatti questa è roba bella".Jean Marc Borel, già presidente di Bugatti International, è l'ideatore della mostra "Scultori della velocità" che fa il bis dopo la prima presentazione nel 2019. "A Modena penso che l'automobile sia un po' una religione. Quindi miscelare arte sacra con arte profana penso che sia una cosa normale. Queste opere meravigliose sono state realizzate in questo territorio e nessun altro al mondo potrebbe rifare qualcosa del genere".Dice bene Borel. Qui i battilastra - così sono chiamati i carrozzieri 'made in Modena' - lavoravano in un modo unico al mondo: fra il disegno e la carrozzeria c'è in mezzo il cosiddetto filone."Questo fa parte della specificità della carrozzeria modenese, perché il filone non esiste in nessun'altra parte del mondo. È una sorta di 3D fatto col martello e non con il computer"."Io non mi sento artista - dice Gibellini - ho avuto la fortuna di andare in una carrozzeria dove si faceva questo mestiere e ho l'ho imparato tramite Scaglietti, Guerra e tante persone brave. Io mi sono applicato e sono riuscito a fare quello che potete vedere in giro".Afro Gibellini, che a 86 anni ogni mattina va in officina per completare il suo programma, spera di veder custoditi questi modelli in un museo. Così, ricorda come è nato il mito del Cavallino Rampante. "Ferrari voleva fare una macchina e andò da Scaglietti che mostrò qualche perplessità. Il suo assistente Guerra lo convinse a realizzarla. È stata la fortuna mia, di Scaglietti, di Guerra e di tutta la fabbrica, perché da quella macchina non ci ha mai più lasciati andare da soli. Era sempre lì a chiedere: due, tre, quattro. Lui quando la voleva, la voleva immediatamente non dopo un mese. Non si poteva mai dire di no a Ferrari. Perché non si poteva. Non lo so perché, ma non ho mai sentito un rifiuto a Ferrari".