Da quattro giorni la sterlina vive il momento peggiore dal referendum di giugno sull’uscita dall’Unione Europea alimentando i timori per gli effetti sull’economia britannica.
L’indebolimento della valuta nazionale, causato dalla prospettiva di una “Hard Brexit”, può favorire le esportazioni perché i prodotti britannici diventano meno costosi, ma può spingere al rialzo il prezzo dei prodotti importati e delle materie prime.
“Nel settore manifatturiero nel momento in cui si ordinano dei pezzi dall’estero la debolezza della sterlina rappresenta un grande problema”, afferma Jeremy Batstone-Carr, analista indipendente.
Esperti della Banca d’Inghilterra temono cali ulteriori della sterlina, con effetti negativi sui consumi visto che il Regno Unito è un Paese prevalentemente importatore.
“Ci vorrà del tempo prima di osservare l’impatto sui consumatori”, spiega Daniel Vernazza, capo-economista presso UniCredit. “Avverrà in due modi: i prezzi aumenteranno e aumenteranno i prezzi dei prodotti importati per via della sterlina debole; ci sarà un calo della fiducia”.
Il timore è dunque un aumento dell’inflazione e la diminuzione del potere d’acquisto e quindi un calo dei consumi, dovuto anche al rialzo dei tassi d’interesse.
Uno scenario che non spaventa l’ex governatore della Banca d’Inghilterra, Mervyn King, che già in passato aveva affermato che i timori legati alla Brexit erano “esagerati”. “Durante la campagna per il referendum c’era chi diceva: il vero pericolo della Brexit è l’aumento dei tassi d’interesse, il calo dei prezzi delle case e del tasso di cambio”, sostiene King. “Ho pensato, impossibile, ci abbiamo provato invano per tre anni! Adesso abbiamo l’opportunità di riuscirci”.
Intanto secondo il Times che cita documenti del Tesoro britannico, una “Hard Brexit”, e dunque l’uscita dal mercato unico, potrebbe causare una riduzione del 9,5% del Pil e perdite di circa 73 miliardi di euro l’anno in termini di entrate fiscali.