“L’unico dovere di un giornalista è descrivere quello che vede”
Anna Politkovskaja
Una rappresentazione intensa, feroce ed essenziale porta in scena Elena Arvigo fino al 15 maggio al Teatro Argot Studio di Roma con Donna non rieducabile, una retrospettiva su Anna Politkovskaja, la giornalista russa che scrisse gli orrori ed i soprusi dei soldati moscoviti e dei terroristi ceceni durante la seconda guerra di Cecenia, senza piegarsi alla retorica e alle intimidazioni del regime. Per questo, dopo aver scampato già due attentati alla sua vita, fu uccisa da un sicario in quanto “nemica della patria” nel 2006.
I suoi scritti prendono vita sin da quel momento, oltre alle molte pubblicazioni, grazie al testo teatrale di Stefano Massini che ha creato una serie di flash e di episodi in grado di condurre lo spettatore a comprendere la situazione cecena ed a vivere alcuni momenti della vita di una donna coraggiosa.
Elena Arvigo ha fatto suo il testo e dopo le tappe di Brescia, Napoli, Reggio Emilia, Milano e Calenzano (Firenze), lo porta a Roma all’interno di un progetto sulle testimonianze scomode parallelo alla rappresentazione e dedicato a Giulio Regeni. Uno spettacolo da vedere e da pensare.
Non è la prima volta che l’attrice e regista genovese si cimenta in progetti civili e su grandi donne. Tra le sue produzioni recenti segnaliamo Maternity Blues di Grazia Verasani e 4:48 Psychosis di Sarah Kane. In televisione, tra i vari ruoli, ha recitato in Perlasca.
In questi giorni sei all’Argot Studio con Donna non rieducabile. Unica protagonista della scena, stai interpretando un ruolo difficile e che porta con sé una grande responsabilità cioè la memoria di una donna incredibile. Perché hai scelto questo ruolo?
Si tratta di un mio progetto. Stavo studiando figure stimolanti, per esigenza personale, da mettere in scena, come avevo fatto con Elena di Sparta, e così mi sono imbattuta nel lavoro di Stefano Massini. Da lì è iniziato un percorso che, come in ogni viaggio, si sa dove inizia e non dove può arrivare. Realizzare un progetto è più intenso di interpretare un ruolo: è una ricerca, una scoperta e un percorso pieno di fatica e di domande su se si è veramente sicuri di volerlo portare avanti. Dopo molto lavoro sono felice di aver continuato a perseguirlo perché lo vedo prendere vita.
MIchele Cella