Erbil, speranza e dolore dei cristiani nel campo profughi di Ankawa

2014-12-06 55

Hanno perso tutto. Perseguitati dai jihadisti dell’ISIL sono stati costretti a lasciare le loro case in Iraq. A Erbil, capitale del Kurdistan iracheno circa 100 mila cristiani hanno trovato un rifugio. Qui siamo nel campo profughi di Ankawa, sobborgo a maggioranza cattolica, dove vivono 400 famiglie. Case prefabbricate, tendopoli dove spesso mancano acqua e luce.

“Questa non è vita. Noi non vogliamo vivere così. Vogliamo emigrare, andare via. Devo sempre andare a prendere l’acqua lontano, tutti i giorni e portarla qui. Mi fa male la schiena. Non vogliamo più vivere in questo modo qui”, racconta un profugo.

Ad aiutare queste persone ci pensa la Chiesa locale che ogni giorno provvede all’assistenza medica e a distribuire pasti e generi alimentari. Pronto anche un nuovo edificio con acqua calda e servizi igienici. Per alcuni è un barlume di speranza, ache se il desiderio più grande è tornare a casa. “Tutto quello che voglio- dice un anziano – è tornare a Qaraqosh, a casa mia, anche se li abbiamo perso tutto. Vogliamo ritrovare le nostre abitazioni, la nostra religione, le nostre chiese. Ci hanno sfrattato, ci hanno lasciato senza vestiti, senza cibo né acqua”.

Associazioni e fondazioni religiose, organizzazioni umanitarie laiche, artigiani locali. In tanti hanno lavorato a questo progetto, a questo nuovo edificio per dare una vita più dignitosa a centinaia di profughi cristiani qui alle porte di Erbil.

Molti hanno lasciato altri campi profughi per venire qui in questo nuovo contesto che non è ancora terminato, racconta la nostra inviata e Erbil Raphaële Tavernier. Ad Ankawa, per quanto difficile e drammatica, la vita di questi cristiani e Yezidi sembra trascorrere ora più serenamente. Anche se forse solo in apparenza. Quello che colpisce è il loro sorriso, la loro capacità di resistenza, la loro speranza. Non chiedono nulla, vogliono solo che si preghi per loro. Il loro desiderio più grande è tornare un giorno a casa.