Dopo la decisione dell’Opec di non tagliare la produzione, lunedì il prezzo dell’oro nero ha toccato i minimi da cinque anni. Una situazione originata da due spinte contrapposte: l’eccesso di offerta causato dall’arrivo del petrolio di scisto statunitense sul mercato e la carenza di domanda per il rallentamento economico cinese.
Chi ci guadagna e chi ci perde in un quadro del genere? Secondo gli esperti, tra i vincitori va annoverata l’Arabia Saudita, la quale (forte di ingenti riserve di liquidità) sarebbe disposta a tollerare meno entrate per colpire gli investimenti nel petrolio di scisto e difendere, a lungo termine, le sue quote di mercato.
Tra i perdenti ci sono invece gli esportatori i cui bilanci dipendono dal petrolio, come Russia e Venezuela: “Le implicazioni della caduta dei prezzi del petrolio sono molto serie perché parliamo di Paesi le cui economie dipendono quasi esclusivamente dalla produzione petrolifera”, spiega Azar Jammine di Econometrix. “E il fatto che i prezzi del petrolio crollino significa per loro una riduzione quasi improvvisa delle entrate derivanti dalle esportazioni”, conclude.
Un’altra vittima della situazione è l’unità all’interno della stessa organizzazione dei Paesi esportatori. Mentre i Paesi del Golfo come gli Emirati Arabi ed il Kuwait si sono schierati con l’Arabia Saudita, altri (come Iran e Nigeria) hanno mostrato di essere meno disposti a tollerare il calo dei prezzi.
Tra i beneficiari ci sono al contrario i Paesi importatori netti di petrolio, come l’India (che pagherà meno i sussidi per il carburante) e, paradossalmente, la stessa Cina. Anche la stagnante economia europea Europa dovrebbe trarne dei benefici. Ma i veri vincitori sono gli automobilisti, in particolare quelli statunitensi, grazie ai ribassi nel prezzo della benzina.