Una quindicina di studenti sono in stato di fermo dopo gli scontri di Città del Messico, dove la protesta per l’uccisione di 43 giovani da parte di una gang criminale è sfociata nell’assalto al Palazzo Nazionale, sede della Presidenza. La polizia ha comunicato che i 43 studenti sequestrati dai narcos sono tutti morti, i loro cadaveri carbonizzati si troverebbero da qualche parte in una discarica. Per i manifestanti, il governo vuole semplicemente chiudere in fretta la vicenda.
“La giustizia ha toccato il fondo – diceva un manifestante -, il governo non ha vergogna, spero che il popolo messicano esprima la propria rabbia e succeda qualcosa di serio”.
L’accusa viene rivolta anche direttamente al Presidente della Repubblica, Enrique Peña Nieto, impegnato in questi giorni in Cina per l’Apec e poi in Australia per il G20. Vertici in previsione dei quali sarebbe stato deciso di chiudere frettolosamente la spinosa vicenda degli studenti sequestrati.
Tre dei killer avrebbero confessato, ma i corpi non sono ancora stati ritrovati (a parte qualche frammento), e comunque l’identificazione, se anche il racconto si rivelasse veritiero, sarebbe estremamente difficile. “Li rivogliamo vivi”, ha scritto qualcuno sulla residenza del Presidente, mentre questi già si trovava in Cina.