Le forze di sicurezza hanno ricevuto l’ordine di non intervenire in Iraq, dove gli ultimi sviluppi politici aprono scenari imprevedibili. L’incarico attribuito dal presidente Fuad Masum a Haidar al Abadi per formare un nuovo governo raccoglie il plauso della comunità internazionale – e anche dell’Iran – ma Nuri al Maliki rifiuta di farsi da parte.
Tanti scommettono sulla sua morte politica, ma il premier uscente – che per ora impone alle forze di sicurezza di non interferire in politica – potrebbe creare problemi all’esecutivo guidato dall’ex alleato.
Gli Stati Uniti – che dalla scorsa settimana supportano con raid aerei la lotta dei curdi peshmerga contro i fondamentalisti islamici – hanno fatto sapere che l’assistenza militare al nuovo governo non signfica un ritorno dei soldati statunitensi in Iraq, il cui futuro è più che mai un’incognita.
Gli aiuti umanitari continuano ad arrivare in soccorso della popolazione perseguitata dai jihadisti. Il Regno Unito ne ha distribuiti altri e i tornado britannici sono pronti per missioni di ricognizione nella regione.
Ma la preoccupazione maggiore è che la situazione attuale sia solo un preludio. Secondo alcuni analisti, lo scenario più ottimista potrebbe essere quello di un Paese più decentralizzato. Quello più drammatico: un Paese di fatto diviso, teatro di una guerra civile con ulteriore spargimento di sangue e una pulizia etnica su più vasta scala.