Soma in mattinata era avvolta dal silenzio: strade semi-deserte, nella cittadina mineraria teatro del più grave incidente degli ultimi anni, ma più grave ancora è che sia l’ultimo di una serie di incidenti.
La protesta infuria, ma a Soma non si vede perché la polizia ha blindato la città: “Soma in manette”, dice il titolo di un giornale. Un minatore sopravvissuto racconta, parla di suo padre morto nei cunicoli:
“Ha lavorato ad Aydin per un periodo, poi cinque anni qui ed è andato in pensione. Si è riposato tre mesi, ma poi è tornato in miniera. Io volevo vivere meglio, volevo fare un lavoro d’ufficio, ma non ho potuto studiare, perché dovevo aiutare la famiglia e mio padre”.
301 morti: è l’ultimo bilancio, quello definitivo. Trecentouno persone uccise dal monossido di carbonio nei cunicoli invasi dal fumo di un incendio, scoppiato non si ancora perché. Ieri i funerali, un momento di commozione con la rabbia a fior di pelle.
Perché i segnali c’erano tutti, a cominciare dai troppi incidenti, dalle ripetute denunce, dalla commissione d’inchiesta voluta dall’opposizione e respinta dal partito di governo.
Il Ministro dell’Energia promette:
“Un’inchiesta tecnica, amministrativa e legale sull’incidente sarà lanciata e condotta fino in fondo, e non importa se toccherà il settore privato o anche quello pubblico”.
Tenuti fuori da Soma, i manifestanti hanno inscenato proteste ad Ankara, Istanbul ed altre località: represse duramente, come quella del giorno prima a Soma. Dove ora non sono riusciti a entrare nemmeno alcuni avvocati che intendevano assistere le famiglie delle vittime. I legali sono stati ammanettati, uno avrebbe subito la frattura di un braccio.