Più di 700 delegati da 70 Paesi hanno partecipato ad Astana, in Kazakhstan, al 12esimo Forum Eurasiatico dei Media, dove politici, giornalisti ed esperti hanno analizzato gli scenari geopolitici delle più grandi crisi contemporanee, viste attraverso il filtro dei media.
Ruslan Zhemkov, direttore generale del Forum ha spiegato: “Nel corso dell’anno analizziamo gli eventi che appaiono maggiormente sui media, e che hanno un alto impatto emotivo. Raccogliamo le informazioni, le analizziamo e tiriamo su un programma per il Forum”.
Il programma nucelare iraniano, l’integrazione euroasiatica, la globalizzazione e i nuovi centri mondiali di potere sono stati al centro delle discussioni. L’ex speaker della Camera dei Rappresentanti statunitense Newt Gingrich ha commentato: “Non credo ci sia un nuovo ordine mondiale. Penso ci sia un emergente mondo tecnologico ed economico, tuttavia politici e governanti sono generazioni indietro, e vedrete che ci sarà ancora più ‘disordine’ nei prossimi 50 anni… Dobbiamo imparare a gestirlo perché non causi ulteriori danni”.
Il pubblico ha partecipato attivamente ai dibattiti, non lesinando domande taglienti ai relatori.
Grande attenzione è stata data ai conflitti che stanno scuotendo il pianeta, a partire da quelli in Medio Oriente. L’inviata di Euronews, Galina Polonskaya, ha incontrato Alessandro Minuto-Rizzo, ex vicesegretario della NATO, che si è espresso così sul conflitto in Siria: “È quasi impossibile che si trovi una soluzione, perché è uno Stato fragile. Ci sono molti gruppi etnici, molte tradizioni consolidate che non sono state amalgamate. Ritengo che alla fine sia il popolo siriano a tenere le chiavi del suo futuro. È molto difficile per chiunque interferire”.
Il ruolo dei media globalizzati, che trasmettono 24 ore su 24 coprendo con dovizia di dettagli i conflitti in tutto il mondo, ha inevitabilmente un forte impatto sul senso critico della gente. L’ex primo ministro israeliano Ehud Barack ha dichiarato: “Le persone vengono informate di ogni disastro sulla terra. Uno tsumani in Indonesia in poche ore arriva in ogni casa, ma in particolare le guerre… Di guerra in guerra diventa chiaro che i leader dovranno tenere conto di un pubblico attento al prezzo che un conflitto comporta”.
C‘è un altro tsunami, non quello naturale ma quello tecnologico che ha investito negli ultimi anni il settore delle comunicazioni: quello dei social media. Questa forma di trasmissione di informazioni in maniera democratica, senza filtri, è destinata a fagocitare i media tradizionali?
La risposta di Stephen Dunbar-Johnson, presidente internazionale per la New York Times Company: “Non penso che i social media siano il diavolo, ma ritengo che si debba essere cauti nel definire giornalismo i tweet, non sono sicuro che si possa parlare di giornalismo. Il vecchio modo di lavorare dei reporter ha ancora un ruolo”.
Internet e i social media sono stati importantissimi per l’attuale presidente degli Stati Uniti. Roger Fisk, che ha avuto un ruolo-chiave nell’elaborazione della strategia comunicativa che ha aiutato Obama a vincere due volte le elezioni, ha raccontato: “Per la prima volta nella storia, almeno in quella americana, abbiamo invitato le persone ad entrare nel nostro sito, a creare un profilo, e a importare i loro contatti. Poi abbiamo permesso loro di usare il nostro sito non solo per ricevere informazioni sulla nostra attività politica, ma anche per creare una loro attività politica. Il sito si chiamava: My BarackObama.com”.
Simon Anholt ha inventato la definizione di “nation branding”, dispensando consigli a capi di Stato e di governo su come misurare, costruire e gestire l’immagine dei loro Paesi. Perché anch’essi, come i prodotti, hanno una reputazione, una “brand image”. “Viviamo un’epoca di enormi sfide: i cambiamenti climatici, la proliferazione nucleare, il terrorismo, il rispetto dei diritti umani, dei diritti dei bambini e così via”, ha dichiarato Anholt, “Ogni Paese, se affronta una di queste questioni e dimostra di aver fatto progressi in materia, guadagnerà velocemente una buona reputazione”.