A un anno dal crollo del Rana Plaza di Dacca, in Bangladesh, in cui morirono oltre mille operai sfruttati per produrre capi di abbigliamento di grandi marchi internazionali, famigliari delle vittime e superstiti aspettano ancora gli indennizzi promessi.
Per protestare, circa 10 mila persone hanno organizzato un sit-in davanti al luogo della tragedia. Altre hanno bloccato la vicina autostrada.
I manifestanti hanno chiesto la pena di morte per Sohel Rana, il proprietario dell’edificio, che si trova in libertà su cauzione.
“Abbiamo ricevuto dei soldi inviati con un sistema di pagamento via cellulare” riferisce la sorella di una vittima. “Prima circa 137 euro, poi 458. Ecco tutto quello che abbiamo ricevuto.”
“I beni del proprietario dell’edificio devono essere confiscati” proclama Luvly Yesmin, presidente del sindacato tessile del Bangladesh. “Anche i beni delle aziende produttrici devono essere confiscati. Il denaro deve essere usato per indennizzare i lavoratori feriti e le famiglie delle vittime e dei dispersi.”
Un fondo di indennizzo, creato dall’Organizzazione mondiale del lavoro, ha finora raccolto circa 8 milioni di euro, ma la gran parte dei 29 marchi internazionali le cui etichette sono state rinvenute fra le macerie del Rana Plaza non vi hanno contribuito.