I soldati francesi nel pantano della Repubblica Centrafricana

2014-02-28 15

Dopo mesi di caos, il 5 dicembre scorso la Francia invia un contingente militare in Repubblica Centrafricana, denunciando una situazione da pre-genocidio.

Il presidente Francois Hollande pensa a un intervento breve: “Sarà un’operazione rapida, efficace, che dovrà impedire ai gruppi che detengono armi di utilizzarle e che dovrà permettere di ritrovare la stabilità e, quando sarà arrivato il momento, lo svolgimento di elezioni libere e pluraliste”.

Ma le continue violenze spingono la Francia a potenziare la missione, 1600 uomini, accanto ai 5700 dei Paesi africani.
Per far uscire la Repubblica Centrafricana dalla crisi, gli analisti ritengono che servirebbero almeno 10 mila soldati di una forza internazionale.

Nella capitale Bangui la situazione è migliorata, ma altrove regna il terrore. La popolazione è combattuta tra
il sostegno alle truppe francesi e i dubbi sull’efficacia dell’operazione Sangaris.

“La Francia ha deciso di inviare questa missione in Repubblica Centrafricana, ma non la vediamo, non vediamo gli effetti sul terreno. La sicurezza non è ancora tornata in alcuna parte del territorio”.

Simbolico di un contesto incontrollabile il discorso sulla sicurezza del Paese tenuto il 5 febbraio scorso della nuova presidente di transizione, eletta qualche giorno prima dal parlamento. Poco dopo nella folla un uomo sospettato di essere un ex ribelle viene linciato.

In pochi mesi la situazione si è capovolta. Saliti al potere nel marzo del 2013, i miliziani musulmani di Seleka hanno terrorizzato il Paese. Oggi sono perseguitati dalle milizie cristiane di autodifesa che si erano formate per fronteggiarli.

Una pulizia etnica che ha costretto un milione di persone, su una popolazione complessiva di quattro milioni e 600 mila, a fuggire. Quattrocento mila persone a Bangui vivono in ripari di fortuna, soprattutto nella zona dell’aeroporto. Altre 400 mila sono fuggite nella foresta dove non hanno nulla.

Secondo Medici Senza Frontiere, una delle poche organizzazioni umanitarie presenti nel Paese, le priorità sono l’accesso all’acqua potabile, il cibo e medicine. E ci sono più morti per mancanza di cure che per le violenze.