La televisione privata egiziana Al Tahrir ha diffuso domenica un
video amatoriale di ventidue minuti. Le immagini mostrano l’arresto,
avvenuto lo scorso 29 dicembre in una suite di una albergo del Cairo, di due giornalisti di al Jazeera. Con una colonna sonora drammatica, nel video si vede il capo dell’ufficio di corrispondenza al Cairo dell’emittente del Qatar, Mohamed Fahmy, canadese-egiziano, con al collo il braccio destro, e il giornalista australiano Peter Greste che, preoccupato, chiede un interprete.
Ad interrogarli, presumibilmente, ufficiali di polizia che però non vengono mai ripresi. Rispondendo a una domanda i due reporter dicono di non avere un accredito per lavorare in Egitto, ma che hanno chiesto il tesserino da giornalisti.
All’interno della suite, che veniva usata come ufficio temporaneo, in attesa di trovarne uno vero e proprio, ci sono telecamere e altro materiale lavorativo. Nelle ultime immagini i due giornalisti vengono
caricati a bordo di una camionetta.
L’emittente del Qatar ha condannato la diffusione del video e ribadito che i giornalisti non lavorano sotto copertura e che l’assenza
di accredito non giustifica in alcun modo il loro arresto. Al Jazeera vuole che vengano immediatamente liberati.
Gli uffici che la tv aveva aperto al Cairo erano stati perquisiti e chiusi
dalla polizia subito dopo la destituzione del presidente Mohamed Morsi lo scorso tre luglio. L’hotel Marriott serviva da ufficio di fortuna e alcuni media egiziani avevano soprannominato i giornalisti
di al Jazeera ‘La cellula del Marriott”.
Mercoledì scorso la procura egiziana aveva annunciato che venti giornalisti di al Jazeera verranno rinviati a giudizio. Sedici per appartenenza a un’organizzazione terroristica. Quattro, stranieri, per aver diffuso notizie che lasciavano intendere che in Egitto è in corso una guerra civile.
Per il Comitato per la Protezione dei giornalisti in Medioriente e in Africa del Nord una cosa simile non si era mai vista: “Non abbiamo mai visto un network – sostiene il coordinatore Sherif Mansour – i cui operatori locali e internazionali, venti in totale, vengano accusati di connessione con il terrorismo. Coloro che lavorano per al Jazeera potrebbero avere dei pregiudizi e, naturalmente, essere un giornalista può voler dire avere un’opinione, ma ciò non significa che debbano andare in prigione per questo”.
L’Egitto accusa al Jazeera di seguire gli orientamenti politici del Qatar che, a sua volta, sosterrebbe i Fratelli Musulmani. In sette mesi la repressione dei seguaci di Morsi ha già fatto più di un migliaio di vittime.