Il World Food Programme ha denunciato il saccheggio del 10% del cibo immagazzinato per venire incontro all’emergenza umanitaria, cibo che avrebbe potuto sfamare 180.000 persone per un mese.
Oltre 350.000 profughi interni, solo la metà dei quali raggiunti da qualche forma di assistenza. Mentre decine di migliaia di persone sono riparate oltreconfine, soprattutto in Uganda, dove le agenzie umanitarie cercano di tenere divisi gli appartenenti alle due comunità in conflitto, i nuer e i dinka. La situazione sanitari nei campi profughi è al limite come riferisce un responsabile: “Abbiamo avuto un’epidemia di morbillo e non abbiamo scorte. Oggi vacciniamo qualcosa come 60 bambini al giorno, ma non basta”.
Questa è la stagione della semina, in un paese in cui il 78% è composto da contadini. Già prima che iniziasse il conflitto, quattro milioni e mezzo su 11 milioni di abitanti erano alla fame. Ora che i campi non sono da semina ma da battaglia, la situazione è destinata a peggiorare.
A livello militare l’Uganda ha inviato truppe ufficialmente per facilitare l’evacuazione degli ugandesi bloccati in Sud Sudan, ma di fatto per sostenere le forze governative. Il presidente ugandese Museveni era stato a fianco del sud sudanese Kiir durante la guerra civile che portò alla secessione del 2011 del Sud Sudan dal Sudan.