La moneta? A qualcuno piace virtuale. Benvenuti nel mondo di Bitcoin, la valuta elettronica che, alle spalle, non ha alcun governo né banca centrale.
Anche perché non viene stampata, ma “generata” da una rete di nodi su Internet e può essere scambiata attraverso un sistema crittografato.
La natura incorporea, però, non la salva dal pericolo di bolle speculative. A gennaio un Bitcoin valeva 13 dollari, durante la crisi di Cipro è schizzato oltre i 200 per poi ricadere sotto i 70. Infine, a novembre si è impennato fino a sfondare la soglia dei 1000 dollari.
“Senza dubbio bisogna che il valore di un Bitcoin dimostri un bel po’ più di stabilità prima di poter essere accettato dappertutto”, spiega Mike Ingram di BGC.
“Quest’ultimo fatto, poi, porterebbe il prezzo di un bitcoin ancora più in alto. Per cui, è un po’ come un gatto che si morde la coda”, conclude.
Creata nel 2009 da Satoshi Nakamoto, fantomatico individuo dietro a cui si potrebbe nascondere un gruppo di persone, la moneta si sta lentamente diffondendo come metodo di pagamento anche nei negozi reali. In Canada ci sono addirittura dei bancomat che permettono di convertirla in cartamoneta.
Ai governi non piace per la sua intrinseca incontrollabilità e per l’assenza di meccanismi contro il riciglaggio di denaro (è stata recentemente discussa al Senato americano), ma per alcuni potrebbe diventare una sorta di “bene rifugio”, vista anche la sua natura limitata
Oggi, infatti, ci sono circa 12 milioni di Bitcoin in circolazione. Quelli nuovi vengono rilasciati gradualmente a chi mette in condivisione la potenza di calcolo del proprio pc (una sorta di banca centrale “Peer-to-peer”), ma l’ammontare diminuisce col passare del tempo.
Arrivati a 21 milioni il meccanismo si interromperà, ma per vedere questo traguardo, secondo i calcoli, dovremo aspettare fino al 2140.