Gli amori passati a volte fanno capolino tra gli affanni del presente e il pensiero allora scivola e s’incanta dove si ferma l’agrodolce di quella lacrima solitaria, dove tutto era bello, dove perfino i difetti riuscivano ad essere magnifici come quei denti troppo dritti per piacermi eppure così tanto amati nella loro assoluta banalità. E l’amara consapevolezza che mai più sarà. Forse diverso, ma mai più così e questo rinascere, voluto, sperato e temuto, e non di certo per bravura, ma solo per puro istinto di sopravvivenza, a questa vita nuova che batte e si dibatte tra mille ostacoli da superare e al di là di ruoli e parti e al di là del tempo stesso, dove le cose accadono. E mentre le mani impasto nella materia m’accorgo d’essere spettatore e regista ma non di certo attore che sente e palpita la sua parte come avveniva altrove. Consapevolezza amara, che giunge come luce nella notte e che carezza il cuore mentre mi suggerisce che anche la cosa che più mi reca sofferenza e che non riesco a modificare, se saprò attendere, mi mostrerà l’altra faccia della medaglia e allora mi stupirò di non sentir più le spine trafiggermi l’anima. Ciò, infatti, che prima era per me come se dovessi subire un intervento chirurgico adesso è come se dovessi lavare i piatti accumulati dalla sera precedente: sicuramente preferirei fare ben altro ma è meglio quello che dover affrontare il bisturi di un chirurgo.
Nella vita cambia e passa tutto tranne l’Amore, quello vero.
aprile duemilaundici